Notti notturne

martedì 27 agosto 2013

L'amore s'è fermato a Cesena

Alvaro Tassinari, morto nel 2005 e babbo dell'autore di questo post
Matteo,
sei pronto!
       di Matteo Tassinari


Ero tra l'avvilito e lo srotolato sul divano di casa per leggere un giornale quando squilla il telefono e inizia a tremare il mondo. Sono le 13,30 del 3 gennaio 2005. Lo ricordo esattamente perché sentivo nell'aria le note che aprono il Tg1 che inizia puntuale a quell'ora. Guardai mia mamma e chinammo entrambi il volto. Risposi al telefono, essendo il più vicino al ricevitore.
La morte del padre di Zeno è stato uno degli eventi
che ha segnato maggiormente la coscienza dello scrittore 
Alzai la cornetta e una voce sconosciuta mi domandò: “Pronto, casa Tassinari?”. "Si", risposi. “E' l'ospedale Pierantoni, reparto chirurgia intensiva. Lei è il figlio di Alvaro Tassinari". "Si". "Mi dispiace, ma la devo informare che suo padre è morto pochi minuti fa”. Il resto non lo ricordo. Da tre giorni mio babbo era ricoverato sotto “Osservazione permanente”, per una caduta avvenuta in casa alle 23,30 del 31 dicembre 2004. Cadde a terra tremante e le convulsioni accompagnate da una tosse nervosa davano il senso della drammaticità di quell’ultimo dell’anno, quando in mezzo ai botti e alla festa circostante all'ambulanza 118 che saettava a sirena spiegata verso il Pronto soccorso in mezzo al traffico festoso. Mio babbo in una brandina con la maschera d'ossigeno e altri tubi che non saprei dire. Da mordere la vita coi denti e farla sanguinare e poi bere d'un sorso tutto quel fiele.

Lo stadio Manuzzi di Cesena, dove ogni domenica,
quando militava in serie A, fra me e mio babbo scendeva la pace armata

La      morte  vi angoscia?
Con mio babbo (non papà come dicono in Lombardia, qua in Romagna diciamo babbo, come balbettare per due volte la lettera B) non avevamo molti punti in comune, per la verità non ne avevamo proprio alcuno. I nostri canali da sempre si erano interrotti e la comunicabilità era pressoché azzerata se non nulla a parte le urla e le botte allegate agli insulti. Mi picchiava spesso e io gli davo tutti i motivi per darmene il doppio. Non gliene risparmiavo uno e lui giù botte. Come un dare e offrire. Entrambi speravamo nello sconto dell'altro. Quando tornava a casa dall’ufficio, uscivo a giocare a pallone in strada. Oggi sono ad un mese dalla mia 50esima primavera.
La famiglia secondo Keith Haring
Non ho figli,
ma una cosa m'è chiarissima. Vostro figlio o figlia non cercano il vostro amore. O meglio, prima vogliono vedere che voi due - genitori - vi amate, poi certamente, vogliono anche essere amati. Ma prima esigono l'autenticità del vostro amore. Osservano con curiosità se c’è armonia o no fra di voi, se la musicalità della grazia li unisce oppure stanno insieme per interessi e hanno paura di fare scelte per mancanza di coraggio. Cosa me ne faccio di una carezza del babbo se un'ora prima l'ho visto massacrarsi di botte con mia mamma? Come faccio a parlare a mia mamma quando a mio babbo gliene ha dette peggio della Santanché?
macchemefgrega.... so coatta!
Non regge, su. E a dieci anni si è tremendi su queste cose. Non si scherza. Si è molto esigenti in quel periodo, lo si è senza accorgersene, anzi pretendiamo di capire la verità sui sentimenti. O si è seri o niente. Perché le cicatrici aperte nei primi anni, sono le più dolorose e le più difficili da medicare, talune rimangono per tutta la vita devastandola. Mettendo da parte nozioni pedagogiche genitoriali elucubrate di un “verginello” di 50 anni tondi come un marone per di più senza figli, torno alla telefonata dall’ospedale.

RankXerox, creatura di Stefano Tamburini,

geniale fumettista e designer

La nostra letteratura
La mia vita è costellata di morti, ma tanti. Se mi volto, dietro le caduche spalle, vedo centinaia di Croci. Quasi tutte al di sotto dei 30 anni. Morti di Aids o cause e concause legate all'uso di droghe pesanti. Erica, una carissima amica di 20 anni sosteneva con bizzarria pirotecnica e genuina sincerità, che i tossici erano i più scaltri, i più furbi, "i migliori" diceva, perché la vita che facevamo, non l’avrebbe condotta nessuno, troppo dura per tutti, ma non per i tossici. Loro la "conducevano".
Stefano Tamburini
E dalla sua posizione, dico solo che sua madre si bucava assieme ad Erica, aveva ragione. Se ti fai le pere per un po’ di anni come me alla fine degli anni '70, capisci che hai solo due opzioni: una è smettere, l’altra il camposanto. Erica è morta di aids a 27 anni. Davide, 28 anni, mi ha lasciato nel 1991 sempre per aids. Era il classico adolescentone e amava Liberatore, Pazienza, Tamburini, Manara, Pratt e tutta quella fauna umana che intorno ai primi anni 80 riempivano fogli bianchi di fantasie colorate, cangianti o monocromatiche che ci permettevano di volare, commuoverci, ridere e prendere spunti per nuove avventure sub-urbane. Era la nostra suburbia, la nostra letteratura, il nostro vivere. Quando hai l'abitudine d'infilarti l'ago nelle vene per spararti eroina almeno tre volte al giorno brown o bianca, di Balzac non te ne fotte un fico secco, figuriamoci di Fiodor Mikhailovitch Dostoievskij. Ma chi cazzo era? Un pusher? Aveva roba buona almeno?
Alvaro Tassinari, mio babbo, ex Battaglione san Marco distretto Venezia
L'amore
 respirato 

Posso dire di aver convissuto con il senso della morte sempre molto vicino, acceso, luminoso, per nulla dimenticato, vivace eccome. Non mi angoscia. Angoscia semmai chi vorrebbe rimuoverla, aggirarla, esimerla, scansarla, schivarla. Chi vive col terrore della morte, è proprio chi sceglie d'ignorarla in mille modi. Chessò, comprando una borsetta Kelly di Hermès, icona di stile ed eleganza da 10 mila euro l'una, un Rolex Sub Mariner argentato, una mangiata pantagruelica di pesce, un Suv Audi, un I-Pod Mc, questa gente è terrorizzata al solo pensiero della signora con la falce, che poi così non è.
Nato pescatore, nelle vene al posto del sangue aveva il mare

Sorella morte
In ogni caso è argomento
da non discutere. Tabù. In questo, le culture orientali sono più emancipate di noi, integrando, nel ciclo della vita anche la morte fin dalla nascita, proprio perché non assumi l’aspetto mostruoso che s'è modellata nelle “civiltà” cosiddette avanzate. Se ne parli, passi da menagramo e giù un boccale di birra e una tiratina di coca, per aumentare lo stordimento e l'oblìo, il rimuovere costantemente la grande paura, della morte, grande istinto a favore della vita. Non so come sono arrivato qui, volevo parlare d’altro e mi sono perso. Succede spesso a chi scrive molto e per la fretta commette errori da matita rossa. Come quando parti per Panama e ti ritrovi a Samarcanda passando per Macondo sulla Via della Seta.
Il luogo perfetto per andarsene, e saper di dover tornare 
Ulteriore conferma che non siamo fatti a compartimenti stagni, ma viviamo immersi in un crocevia di esperienze, un coacervo di input, dati, ricordi, sconfitte, conquiste, e siamo figli di noi stessi e questo c'incute soggezione, fremiti che vanno in qualche modo gestiti, da qui tutta l'innocente insicurezza umana, la tenerezza dell'uomo alla disperata ricerca di un senso a tutto, della salvezza per conquistare e consegnare alla morte una goccia di splendore.

Qui non so dove fosse. Forse al "Centro Nautico" di Rimini
Mezz'ora    di sfizio, cent'anni     di guai
"Vince", o meglio bara, quindi perde, chi maschera tutto ciò, chi si vergogna delle proprie tenerezze e ansie, chi si avvilisce delle proprie rovine e cerca goffamente di nasconderle, chi ha terrore delle proprie debolezze. Fino a quando non ci si trova faccia a faccia con la dipartenza, nell'ora del Mistero più grande che ci ritroviamo a vivere. Perché vale per tutti. È la lotta che ciascuno di noi, credente o no, un giorno si troverà a dover combattere a tirare calci al vento. O qualcuno forse è immortale?
Jorge Luis Borges 
Eppoi, temere la morte è far professione d'ateismo, affidandomi a Jorge Luis Borges quando scrive: "La morte è un'usanza che tutti, prima o poi, dobbiamo rispettare". Anche i peggiori, coloro che hanno commesso guai contro l’umanità intera, che non provengono da malvagi misantropi senza scrupoli, ma da coloro che la amano e che intendono guidarla o migliorarla. Mezz'ora di sfizio, cent'anni di guai.
Lupini, liquerizia,
2 gassose
Ritorno all’argomento principale, mio babbo. Che ci amavamo ne ho già parlato, nonostante un rapporto difficile. Però c’era un momento preciso che entrambi ci dimenticavamo di tutto. Dalle paranoie all’incomunicabilità, dalle assenze alle mancanza d’affetto reciproca, dalla freddezza all'indifferenza. Questo strano fenomeno avveniva la domenica pomeriggio, quando alle 12 partivamo dalla stazione di Forlì per andare a vedere il Cesena che all’epoca militava in serie A. Avevo 13 anni e col babbo, ch’era stato scelto dal battaglione san Marco per la sua stazza corporea non indifferente, mi sentivo sicuro anche quando la curva esplodeva per un gol o c’erano delle risse fra tifosi.
    E sangue freddo

Una volta mi sono infilato sotto il suo cappotto e ricordo ancora che ha gridato a voce alta alla gente che premeva: "Oh, calma, qui c'è un bambino". La ressa a quell'età fa paura davvero, che paura in tutto il corpo, però con mio babbo sapevo che non poteva succedermi nulla di brutto. Eravamo noi i più forti, perché da bambino ragioni così, semplicemente. Per questo i bambini sono santi. Solo per il fatto d'essere bambini e vivere.
Io, all'età di 10 anni
Lentamente, la fiesta sfumava
Compravo i lupini, le sementine con tanti cordoni di liquirizia e due gassose. Tutto quel movimento di gente, cori, calca, una fiumana che sembrava pioverti addosso dagli anelli più alti dello stadio, una moltitudine di persone che in qualche modo mio babbo arginava per proteggermi. Mi ha dato vibrazioni indimenticabili, sensazioni che non vivrei più come allora, si è troppo sguarniti a 13 anni, quanta vulnerabilità per porre freno a quelle emozioni così dirompenti, appassionate, irrefrenabili da travolgere ogni atomo o molecola della mia giovanissima esistenza. E' tutto più amplificato, abbondante, fragoroso. E' quasi tutto un orgasmo. Ma la lotta più dura era: in quale settore dello stadio andare? Io preferivo sempre la curva degli ospiti, perché m’incuriosiva vedere i tifosi della squadre di altre città: Juventus, Milan, Inter, Genoa, Cagliari, Bologna, Verona.
L'amore materno che ti da una Curva è come quello del tuo migliore amico

In quale curva andare?
Mio babbo, al contrario, preferiva frequentare la curva del Cesena, ma alla fine me le dava quasi tutte vinte. Le radioline accese, i gol che arrivavano dagli altri campi, esplosioni trascinanti di tifo improvvise apparentemente immotivate perché accadevano altrove, in un altro stadio. Metti che l’Inter avesse segnato contro l’Avellino che lottava col Cesena per non retrocedere in serie B, cose di questo tipo. Vedere la gente che gioiva senza che apparentemente non fosse successo nulla è qualcosa d'impagabile, di stupefacente, di grazia immortale.
In questi casi scoppiavano dei boati impetuosi come le tensioni che c'erano dietro, il nervosismo di una settimana e lo sfogo domenicale. Allora tutti a chiedere "cos'è successo?", "Ha segnato il Bari?", "Ha pareggiato il Como?". "E' rigore per il Verona". "E l'Avellino?". Che movimento d'onde attraverso quelle antennine incollate alle orecchi. I coriandoli, carta igienica, botti, tamburi, bidoni dove menarci sopra, bombolette simili ad uno spray che emettevano suoni assordanti. Era la savana per i miei occhi. Una sarabanda da tramenio. La mia percezione era quella di ritrovarmi in mezzo ad un evento epocale, quando era una semplice partita di calcio. Partecipare insieme a tanta altra gente ad un grande avvenimento finalmente in pace con mio babbo, era come toccare l'apogeo. Capisco ora quanto possa essere pericolosa qualsiasi maggioranza accomunata da un ideale e da un cretino come l'arcoriano, tutto è incontrollabile, per questo sono nettamente dalla parte delle minoranze, ogni minoranza, dagli Indiani d'america ai Rom. La grande fiesta finiva col fischio finale della partita. E io intuivo che la routine, minacciosa, stava lentamente ritornando, creando in me un senso di tristezza che mi faceva pure piangere senza farmi vedere da mio babbo, una delusione che il mio cuoricino ne languiva.

Un bacio, vecchio mio
Ma ancora la samba non era finita. C’era infatti il viaggio di ritorno in treno e si trovava sempre qualcuno con cui scambiare le opinioni proprie sulla partita appena vista, tanto quel treno a quell’ora era "gonfio" di tifosi che tornavano nelle varie città e campagne romagnole dallo stadio Manuzzi. La fiesta era finita un pò per tutti e una settimana di lavoro o studi, minacciava l'arrivo. Nel 2005, Alvaro, è morto. Abbiamo avuto un momento di ripresa, pochi giorni prima della sua morte. Di notte ci trovavamo su di una brandina rubata in un bagno balneare di Rimini. Seduti l’uno accanto all’altro a raccontarci le intimità che non eravamo mai stati capaci di confidarci in 42 anni. Sembra la sceneggiatura di una commedia drammatica, ma i fatti andarono proprio così, non so che farci. M'accorsi che mio babbo stava davvero molto male e anche lui lo capì, capiva che era questione di ore. A quel punto non ero più un bambino e lui sapeva il mio intuire, questa combinazione sciolse anche le incrostazioni più resistenti durate nei decenni. Eravamo, senza enfasi o retorica, un corpo solo. Dopo anni a farci la guerra, sapevamo che avevamo rimasto poco, e allora volevamo sfruttare al meglio quello che il Signore ci aveva lasciato per dare una svolta alle nostre 2 vite, così unite in quel frangente, da sentirsi compartecipi di tutto. Perché il sogno di ogni amore è che il miracolo non abbia mai fine. Forse è solo una promessa, ma una promessa sacra è molto più potente di un sogno.


Con l'affetto degli

ultimi giorni babbo
Ho la sensazione che ci rincontreremo presto babbo, per certi aspetti è la storia più magnifica che possiamo fare per riacciuffare il discorso iniziato in quelle poche e mistiche notti nello studio a sedere l'uno accanto all'altro. Che bella voce avevi in quelle sere, o notti, babbone mio, dolce, preoccupata per me, affettuosa, simpatica e premurosa, sempre per me: "Matteo, quando sei in difficoltà rivolgiti alla nonna Maria". Eri quello che non sapevo, solo mancandomi ho scoperto quello che eri, nelle mie fondamenta della vita che mi ritrovo a vivere da sciancato. Mi sei stato presente per 45 anni babbo, e non abbiamo legato molto, se non quei 10 giorni finali, come se Dio ce li volesse far vivere. Io vi vedo una grande generosità, in questo "santo" atto. Se vado avanti mi perdo e divento palloso. E tanto per scrivere qualcos'altro e fare la chiusa, ti lancio un bacio babbo con l'affetto degli ultimi giorni. Paradossalmente, diventati i primi.